Mi pare che la discussione su questo bel post -complessivamente condivisibiile- stia prendendo la piega consueta, e ormai veramente attardata, dello scontro fra le “due culture”. E davvero oggi mi è difficile, pur dolorosamente constatando l’analfabetismo scientifico di massa, ravvisare una qualche postura crociana o gentiliana che non sia vezzo aristocratico (persino affascinante) di pochissimi.
Il problema è, invece, assai più serio, per nulla circoscritto alle italiche sponde e per nulla riducibile a una questione di “aggiornamento” del sapere (magari, di cruschevoli muffe accademiche da disinfettare con un po’ di neuroscienze e nanotecnologie).
Se quanto ci si profila all’orizzonte fosse semplicemente la diffusa necessità di una ridefinizione sociale del “canone culturale” che dovrebbe contraddistinguere il cittadino del XXI secolo informato e consapevole, potremmo rallegrarci e partecipare al dibattito (è più fondamentale oggi aver chiara la termodinamica o aver letto Senofonte?).
La cosa curiosa (ma non troppo!) è che non c’è alcun vero dibattito pubblico in corso (né da noi -da noi qualunque dibattitto politico-culturale è morto stecchito da un pezzo- né, purtroppo, altrove).
Ciò cui il post accenna non ha nulla in comune con la vexata quaestio delle due culture o con la sperimentazione di un nuova educazione e di un nuovo canone culturale. Siamo di fronte, infatti, a una scelta totalmente “extra culturale” ed “extra democratica” di completa incorporazione del sapere nel ciclo capitalistico. Scelta globale.
In questo senso, a tutti consiglio vivamente la lettura di un libro, piuttosto lontano dai miei paradigmi teorici ma in più di un punto acuto e sottoscrivibile: “Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica” di Martha Nussbaum (Il Mulino). E, attenzione, l’occhio della Nussbaum non è rivolto alle nostre miserie, ma guarda ai sistemi formativi globali.
Consiglio anche un altro libro, uscito una ventina di anni fa sempre per i tipi del Mulino: “Il modernismo reazionario” di Jeffrey Herf. Giusto per ricordarci che conservatorismo e reazione politica ed esaltazione della tecnologia si sono già “felicemente” incontrate: alla “mezzanotte del secolo” scorso.